Washington, 16 dic. (TMNews) – Il giornalista e scrittore britannico Christopher Hitchens, 62 anni, è morto in un ospedale di Houston, in Texas. Stando a quanto riportato da Vanity Fair, Hitchens è deceduto per una polmonite, sorta a causa del cancro all’esofago che lo aveva colpito da un paio di anni. Solo poche settimane fa, a Londra, alcuni dei suoi colleghi più cari – dall’amico di sempre Martin Amis al grande scrittore Salman Rushdie –
l’avevano commemorato in un evento a Londra a cui lo stesso Hitch (così era soprannonimato) aveva partecipato in video-conferenza. Giovane scrittore radicale britannico negli anni Settanta, famoso per le sue polemiche al vetriolo, per le mille e mille sigarette (e per i suoi amori, celebre la liaison con Tina Brown, a quanto pare un bizzaro ménage à trois con Martin Amis), Hitchens aveva lasciato il suo paese per gli Stati Uniti a fine anni Ottanta. Commentatore politico molto apprezzato per il suo sarcasmo, lavorava negli Stati Uniti per Vanity Fair, The Nation e Slate, ma era anche columnist per il Wall Street Journal nonché, in modo occasionale, esperto di questioni americane per il quotidiano britannico Daily Mirror.
Nell’agosto di due anni fa era stato lo stesso Hitchens a rendere nota la sua malattia con un’intervista al The Atlantic Monthly. “Come sto? Sto morendo”, franco e diretto, così iniziava l’intervista con uno dei giornalisti più discussi degli ultimi decenni.
“Tutti devono morire ma sembra che questo processo sia accelerato con me, sto cercando un modo per morire come gli altri più in là”. “Ci sono giorni brutti e giorni ancora più brutti – aveva detto non sono neanche sicuro che la stanchezza che sento derivi dai trattamenti chemioterapici o dal cancro stesso”.
Hitchens anche in quella occasione non aveva avuto remore a parlare di morte: “sono realista, obbiettivo, il mio non è un cancro buono, le statistiche sono molto deprimenti. Anche i miei linfonodi sono compromessi. Sarei un uomo fortunato se vivessi altri 5 anni”.
La conversazione era caduta inevitabilmente sulla religione, un tema che ha sempre infiammato l’animo di Hitchens: “non mi disturba che la gente preghi per me, ma non diventerò mai un credente neanche con la morte vicina. Se sentiste parlare di una mia conversione, sarebbe una menzogna della comunità religiosa, o un effetto delle cure per il cancro che non mi fanno più essere me stesso”. Celebri le parole del giornalista in un’intervista al Free Inquiry del 1996: “sono un ateo. Non sono neutrale rispetto alla religione, le sono ostile. Penso che essa sia un male, non solo una falsità. E non mi riferisco solo alla religione organizzata, ma al pensiero religioso in sé e per sé”.
Giornalista radicale, polemista nella grande tradizione britannica (George Orwell era il suo eroe dichiarato e il suo modello), alla svolta degli anni duemila Hitchens aveva spiazzato un po’ tutti con quella che a molti era sembrata una svolta a destra. Dopo gli attacchi dell’11 settembre, Hitchens si era dimesso da editorialista del The Nation. L’episodio aveva segnato il culmine delle divergenze politiche iniziate negli anni Novanta con i vertici del giornale. L’attacco alle Torri Gemelle convinse Hitchens della necessità di una politica estera americana interventista, molto duri furono gli attacchi nei suoi articoli a quello che lui definisce un “fascismo dal volto islamico”.
Tra le sue ultime battaglie, però, si segnalava quella contro la chiesa cattolica e le gerarchie vaticane a seguito dello scandalo pedofilia. Hitchens, già autore del meraviglioso saggio “La posizione della Missionaria” (una perfida, lucidissima, distruzione del mito di Madre Teresa di Calcutta), aveva addirittura evocato la possibilità di un intervento della magistratura ordinaria contro il papa. Sul Sito Slate Hitchens analizzava nella primavera 2010 in particolare le reazioni di Joseph Ratzinger, Papa Benedetto XVI, negli anni di fronte alla possibilità che gli episodi di pedofilia registrati in alcune diocesi cattoliche nel mondo potessero venire allo scoperto. Per Hitchens il Papa, capo della Congregazione per la dottrina della Chiesa (l’ex tribunale dell’Inquisizione) ai tempi in cui cercò di tacitare i casi di pedofilia tra i preti, dovrebbe finire davanti a un tribunale.
“Dagli scambi episcopali tra le diocesi coinvolte negli scandali e Ratzinger emerge un’unica preoccupazione: può tutto ciò danneggiare la sacra Madre Chiesa? – scrive il giornalista – Come se il coinvolgimento di ragazzini fosse un inconveniente” da non tenere in conto. “Notate, inoltre, gli sforzi per evitare ogni contatto con la legge. E notate infine, come esistesse un programma di propaganda di Ratzinger contro la stampa qualora fossero emerse una di queste condotte criminali o i tentativi per ostacolare le indagini giudiziarie”. Hitchens cita poi i Patti Lateranensi del 1929 definendoli “l’ultimo monumento europeo rimasto del trionfo del fascismo”. A causa di questa ‘intoccabilità’ giudiziaria della Chiesa cattolica, i crimini commessi contro innocenti sono da considerarsi un fatto privato?
Si chiede Hitchens. E dov’era la giustizia americana mentre i casi di pedofilia si ripetevano negli anni? “Dove sta scritto che la Chiesa cattolica romana è l’unico giudice dei casi che la coinvolgono?”.
Di Hitchens restano i libri, straordinari, e l’esempio del suo lavoro intellettuale. In Italia di Hitchens è possibile leggere “Dio non è grande. Perché la religione avvelena ogni cosa” (Einaudi), “La posizione della missionaria” (Minimum Fax), “Processo a Henry Kissinger” (Fazi), “Consigli a un giovane ribelle” (Einaudi) e “La vittoria di Orwell” (Scheiwiller). Ma forse le pagine più belle sull’Hitchens uomo si possono ancora trovare in “Esperienza” (Einaudi) il romanzo-memoir del suo amico di una vita Martin Amis.
vgp
© riproduzione riservata