Usa; Deficit per la prima volta oltre 1.000 miliardi dollari


Washington, 14 lug. (Ap)
– Nove mesi dopo l’inizio dell’anno fiscale, per la prima volta il deficit americano ha superato i 1.000 miliardi di dollari. Valori di questo genere, che hanno già messo sotto pressione il dollaro, non fanno che alimentare i timori sull’andamento dell’inflazione e dei tassi di interesse. Resta inoltre da capire quale possa essere la strada migliore per ridurre il buco di bilancio nel bel mezzo della recessione, ricorrendo a tagli delle spese federali o a incrementi delle tasse.

Secondo i dati diffusi dal dipartimento del Tesoro, in giugno il deficit federale si è attestato a 94,3 miliardi di dollari, facendo crescere il totale per l’anno fiscale iniziato lo scorso ottobre a quasi 1.100 miliardi di dollari. A fare crescere il valore sono state in particolare le spese massicce sostenute dal Governo per fare fronte alla recessione e alla crisi finanziaria, oltre a un consistente calo degli introiti fiscali e ai costi delle guerre in Iraq e Afghanistan.

Le spese federali sono in continua crescita per gestire la peggiore crisi finanziaria dalla Grande Depressione degli anni Trenta, con un tasso di disoccupazione che è salito al 9,5 per cento, il massimo in 26 anni. Il Congresso ha approvato un piano di aiuti di emergenza per il settore finanziario da 700 miliardi di dollari e un piano di stimoli economici da 787 miliardi di dollari, che potrebbe essere seguito da un secondo programma analogo.

La continua crescita del deficit americano ha messo in allarme gli investitori stranieri, in particolare quelli cinesi, che potrebbero mostrarsi in futuro meno propensi a sostenere le attività di credito. Questo costringerebbe il Tesoro americano a pagare tassi di interesse più alti per rendere più appetibile il debito americano di lungo termine. “Si tratta di numeri allarmanti. Gli investitori stranieri cominciano a preoccuparsi non solo per il valore del dollaro, ma anche sulla sicurezza dei propri investimenti nel lungo periodo”, ha detto Sung Won Sohn, economista della Smith School of Business della California State University.

Emc-Ars

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