«L’applauso della folla, quel calore incredibile che mette la pelle d’oca, l’orgoglio di essere considerato il migliore». Adrian Banks è pronto a mettere in valigia ricordi straordinari. Martedì un aereo lo riporterà a casa, negli Stati Uniti, dopo tanti mesi di lontananza. «E io non vedo l’ora di provare quella sensazione, di aprire la porta e dire “mamma, sono tornato, preparami qualcosa da mangiare”». Un desiderio legittimo, un’emozione sincera, che l’idolo del PalaWhirlpool vivrà lasciando però qui un pezzo del suo cuore.
Sa bene, Banks, che tutta Varese vorrebbe vederlo tornare, anzi, vorrebbe vederlo imbarcarsi già col biglietto di ritorno in tasca. «Ma finora ho pensato solo ed esclusivamente a giocare, evitando di mischiare presente e futuro. La società è d’accordo con me che è giusto che io abbia il tempo, ora, di valutare la situazione e fare le mie scelte». Ce lo ha raccontato di persona, ieri pomeriggio, visitando la redazione del nostro quotidiano.
In questi giorni Adrian ha staccato la spina. Lontano dal basket, lontano da tutto, fino a martedì. «Ma, una volta a casa, comincerò il mio secondo lavoro, che è quello di padre. Mi dedicherò a mio figlio Drizzy, assecondando ogni suo desiderio: cartoni animati, wrestling, persino il cosiddetto “junk food”», che poi in italiano traduciamo con “cibo spazzatura”. Non esattamente una ricetta da nouvelle cuisine, ma se c’è da accontentare per una volta un bimbo che non vede l’ora di passare del tempo col suo papà, si può anche trasgredire qualche regola.
Intanto, l’occasione della visita è servita per riavvolgere il nastro della stagione, a partire dalla fine, ovvero dallo scontro con l’arbitro Paternicò, che lo ha messo ko durante il match con Siena.
«Correvo guardando indietro verso Polonara, a cui avevo servito il pallone, e verso il canestro. Ho fatto appena in tempo ad accorgermi che era un arbitro e non un giocatore la persona che mi si stava parando di fronte. Poi negli spogliatoi Paternicò mi ha chiesto scusa. Certo che a lui è andata bene, se avesse avuto un frontale con Linton Johnson anziché con me…».
La rincorsa ai playoff, per Varese, è finita lì. Ma in realtà era stata già seriamente compromessa ben prima, nel corso di un’annata caratterizzata dal cambio in panchina. «Frates pretendeva da tutti lavoro duro, a un livello che poteva mettere in difficoltà i giocatori più giovani. Bizzozi invece, pur pretendendo anch’egli massimo impegno, ha saputo chiedere il giusto ad ognuno. Una figura la sua che trovo si sposasse al meglio con quella di Vitucci, l’anno prima, perché avevano filosofie molto simili».
La stagione, seppur difficile, ha però permesso a tanti di crescere. «Io stesso sono stato qualcosa di più e di diverso rispetto al Banks dell’anno precedente, perché il campionato intero passato a giocare con gente come Dunston e Green mi ha dato modo di essere un giocatore migliore. Fra gli altri, penso per esempio che De Nicolao, pur essendo giovanissimo, sappia caricarsi sulle spalle il peso della squadra e possieda le caratteristiche per diventare, con i giusti sacrifici, un grande playmaker».
Dici Siena e non pensi solo alla terribile capocciata con Paternicò. Ci sono le vicende giudiziarie e quel passato in cui, talvolta, era capitato di pensare che potesse esserci qualcosa di strano, «riflettendo magari sulle squalifiche annullate di Hackett e Brown, contro di noi, nei playoff dello scorso anno».
Infine una battuta sull’Nba e lo scandalo-razzismo che ha coinvolto il presidente dei Clippers, Donald Sterling. «Quando ho capito che si trattava di un anziano, ricco uomo bianco che parlava con una giovane donna attraente, mi sono detto che non valeva nemmeno la pena di approfondire», chiude Adrian.
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