Servono mille euro per lo scudetto e duemila per la Coppa Italia: chi inizia a mettere qualcosa sul banco, sperando che non sia troppo tardi?
Ieri a Siena sono stati messi all’asta i trofei della storia della Monte dei Paschi, società che non esiste più, sportivamente morta per le colpe dei suoi dirigenti (uno in particolare). Siena ha ricominciato dal basso perché per anni – vincendo tutto quello che c’era da vincere in Italia –
ha vissuto sopra le sue possibilità. Siena è finita nel fango per tanti episodi torbidi che uno dopo l’altro sono usciti allo scoperto. Siena – ed è la cosa che qui ci interessa di più – ha portato a casa uno scudetto e una Coppa Italia immediatamente prima che tutti scoprissero che la sua “grandeur” non era genuina. Correva il 2013, un anno che a Varese – soprattutto se rapportato alla mediocrità del presente – non verrà scordato facilmente. Ci fermiamo qui coi commenti e andiamo con le sensazioni: nell’apprendere di quest’asta, chissà perché, viene in mente un quinto fallo fischiato a Dunston in un Forum di Assago colorato di biancorosso, un palazzetto intero che sognava nella rimonta. Viene in mente una squalifica sacrosanta che diventa deplorazione, lasciando sul campo chi avrebbe dovuto giocare. Turba il cuore l’immagine di un procuratore federale che esulta senza avere il ritegno del suo ruolo, oppure i fischi chirurgici di una gara senza domani. Si riaprono tante ferite, insomma. Ah, all’inizio scherzavamo: lasciamoli lì quei trofei che sentiamo un po’ rubati, quanto meno dal destino. Non ci servono.