Vanoli Cremona – Openjobmetis Varese: il commento di Fabio Gandini

Cominciamo a guardare la classifica

The same old story: Cremona-Varese è il sequel della serie meno godibile della terra. Questa squadra non perderà mai in modo diverso da quello andato in scena al PalaRadi ieri ed in tutte le puntate precedenti: nessuna scoppola, nessuna resa per manifesta inferiorità, nessun “ci ho provato ma non ce la faccio proprio”. No, lo sceneggiatore si sta divertendo a scrivere una storia che sia il più possibile aderente alla realtà. E la realtà è che a Varese manca sempre qualcosa – poco ma perennemente – per poter alzare le braccia al cielo.

A volte manca un playmaker che sappia punire le difese facendo quello che tutti i colleghi di spot sanno fare: tirare. Viene in mente una massima attribuita dalla tradizione a Boscia Tanjevic: «Giocatore senza tiro è come uomo senza erezione». Altre volte manca un centro che impari a collegare la propria fisicità alla saggezza e non sprechi il potenziale che madre natura gli ha donato.

Altre ancora manca una guardia che sia in grado di aggiungere alla propria dimensione congeniale una qualche varietà che lo renda meno schiavo delle percentuali e libro aperto per le difese avversarie. Di tanto in tanto manca anche un regista che dovrebbe essere il sesto titolare (e quindi valore aggiunto dalla panchina) ed invece risulta catatonico, oppure la lucidità di chi continua a tirare il plotone e nei finali ha sempre il fiatone.

È mancato, manca e mancherà sempre qualcosa alla Openjobmetis. È una chimera pensare che possa andare diversamente. Ma non è questa naturale ed evidente imperfezione la ragione delle sei sconfitte consecutive: è l’incapacità di sopperire come gruppo ai difetti dei singoli; è l’assenza di un’identità collettiva che vada a colmare le lacune individuali, ad alleggerire le difficoltà di ogni singolo cammino, a dare quel pizzico di pepe ad un piatto cucinato necessariamente senza le dosi esatte di un ricettario che nessuno possiede.

La Varese di Cremona, al di là di queste considerazioni generali, è brutta e faticosa. Prima subisce il mortifero pick and roll dell’asse Cusin-Vitali, poi è brava a redimersi ma spreca tutto con scelte ignobili dall’altra parte del campo. Il tabellino finale è carta carbone del fallimento in attacco. Solo Okoye si salva per impegno ed efficacia, ma è un singolo, solo un “maledetto” singolo.

Nessuno fino ad ora ha mai guardato la classifica: è ora di farlo. La débacle in bassa Lombardia vale il penultimo posto, un fondo che va a certificare ogni errore, ogni scelta sbagliata, ogni mancanza non colmata. Siamo come quella mano del nostro capo allenatore, seduto fra il pubblico: ferma per tutto il match davanti ad una bocca che non sa più che cosa dire per descrivere la situazione. Si aspetta il Godot di una vittoria che non arriverà mai per caso, mai senza merito, perché la fortuna non ha alcuna intenzione di premiarci. La risalita, se risalita mai ci sarà, vivrà solo trovando quel maledetto pezzo di puzzle mancante che si chiama gruppo.