PARIGI – Un’idea nata da un profondo desiderio, tanto nobile quanto assurdo, quella di riportare in Italia l’opera d’arte più famosa del mondo, dell’artista e scienziato simbolo dell’Italia. Eppure un imbianchino italiano esattamente 112 anni fa, passo dall’idea all’azione e mise a segno il furto più clamoroso della storia. Riuscì a rubare, peraltro senza grandi difficoltà, la Gioconda di Leonardo da Vinci trafugandola dal museo del Louvre. Passato alla storia come il ladro della Gioconda,
Vincenzo Pietro Peruggia era nato nell’ottobre del 1881 a Trezzino, frazione di Dumenza, un paese del nord della provincia di Varese, vicino al confine con la Svizzera. Il padre Giacomo era muratore mentre la madre Celeste una casalinga con 5 figli. A quell’epoca si cominciava a lavorare da bambini e Vincenzo imparò a fare l’imbianchino e verniciatore, Appena sedicenne seguì per lavoro il padre a Lione e nel 1907 si trasferì a Parigi in cerca di lavoro. Il piombo che a quei tempi era contenuto nelle pitture e vernici lo fece ammalare e così non potendo più continuare con il suo mestiere, riuscì a trovare lavoro con la ditta Gobier, che si occupava con una squadra di operai tra i quali Peruggia, di pulire quadri e ricoprirli con cristalli al museo del Louvre. Il giorno del furto, il 21 agosto 1911 era, come oggi, un lunedì ed era giornata di chiusura al pubblico del grande museo. Vincenzo entrò al Louvre da un ingresso usato dagli operai e si sarebbe diretto subito nella Sala dove era esposta la Gioconda. Staccò semplicemente il quadro dalla parete e si diresse verso una scala secondaria, dove tolse la cornice ed il vetro e avvolse la tela nella sua giacca, quindi uscì indisturbato attraversando un cortile interno e si diresse alla fermata del bus. Nell’agitazione del momento si accorse di avere preso un mezzo sbagliato , così una volta sceso chiamò un vetturino e si fece portare a casa. Qui dopo avere nascosto la tela si preparò ad andare al lavoro. Per un mese la Gioconda rimase nell’alloggio di un italiano amico di Vincenzo che temeva danni al dipinto per l’umidità del suo alloggio. L’uomo realizzò una robusta cassa e una volta finito il contenitore riprese con se la tela. Il furto venne scoperto il giono successivo, il 22 agosto e, a Parigi, ma in tutta Europa scoppiò il finimondo. Ci furono anche alcuni arresti, e tra questi in manette ma poi completamente scagionati anche due personaggi che erano destinati ad avere grande fama, Guillaume Apollinaire e Pablo Picasso. Peruggia venne interrogato e sospettato, come tutti coloro che avevano accesso al Louvre e la sua modestissima stanzetta venne anche perquisita, ma la Gioconda con il suo enigmatico e forse anche beffardo sorriso, non venne trovata, perché la tela era custodita in uno scomparto sotto l’unico tavolo. Vincenzo e Monna Lisa rimarranno “insieme” in quella stanzetta per 2 anni, fino a quando il ladro idealista, sente parlare di una esposizione d’arte in Italia e scrive all’organizzatore, il collezionista d’arte Alfredo Geri, proponendogli proprio l’opera che tutti cercavano disperatamente e ponendo come unica condizione che questa rimanesse in Italia. La lettera era firmata da un fantomatico signor Leonard e il collezionista, dopo essersi consigliato con il direttore della Regia galleria di Firenze, organizzò l’incontro che si svolse l’11 novembre 1913 in un albergo di Firenze Geri disse voler esaminare la tela e la prese in consegna e qualche ora dopo Vincenzo Peruggia venne arrestato dai carabinieri. Al processo ha sempre dichiarato di avere agito per amore della sua patria dopo avere visto un opuscolo del Louvre di quadri italiani portati in Francia da Napoleone Bonaparte provocò in lui un senso di vendetta: voleva restituire all’Italia almeno uno di quei dipinti. In realtà la Gioconda in Francia venne portata direttamente da Leonardo. Il processo si tenne nel 1914 dinanzi al tribunale di Firenze con una grande parte dell’opinione pubblica che sosteneva il gesto del ladro per il quale venne invocata l’infermità mentale. Venne condannato a 1 anno 1 15 giorni di carcere, pena poi ridotta a 7 mesi e quando Vincenzo uscì dal carcere trovò un gruppo di studenti toscani che gli consegnarono a nome di tutti gli italiani ben 4 mila 500 lire, frutto di una colletta in suo favore. I francesi si mostrarono “flessibili”, forse temendo che la Gioconda non tornasse più al Louvre e “concessero” un lungo periodo di esposizione del dipinto in Italia agli Uffizi a Firenze, all’ambasciata di Francia di Palazzo Farnese a Roma, alla Galleria Borghese prima del suo definitivo rientro in Francia dove ad attenderla c’era tutto il Governo. Peruggia, dal canto suo, dopo essere tornato libero ha combattuto nella prima guerra mondiale, finendo, dopo la battaglia di Caporetto, in un campo di prigionia austriaco. Dopo la fine della guerra il 26 ottobre 1921 si sposò e tornò in Francia scambiando il primo ed il secondo nome e ottenendo l’ingresso nel Paese. Si stabilì alla periferia di Parigi e nel 1924 ebbe una figlia, battezzata Celestina ma che tutti chiamavano Giocondina. Vincenzo è morto di infarto nel giorno in cui compiva 44 anni, nel 1925. Sua figlia Celestina è scomparsa nel 2011.