Varese 70 anni dopo si bombarda da sola

Il primo giorno d’aprile del 1944 – ce lo ha ricordato ieri Mario Chiodetti nella bella ricostruzione della “Provincia” – su Varese si scatenò un uragano di fuoco. L’obiettivo era l’Aermacchi. Ci andarono di mezzo Casciago, Masnago, cimiteri e abitazioni, civili e cittadini inermi. Il terribile bilancio di quel raid aereo fu di 16 morti e 25 feriti, oltre a qualche centinaio di famiglie senza casa.

Settant’anni dopo un altro bombardamento, più soft ma non per questo meno mefitico, si è abbattuto sulla città. Abbiamo scoperto, svegliandoci e leggendo il giornale, che i cantieri della Pedemontana, quelli per cui Gazzada, Morazzone e Lozza sopportano polvere e deflagrazioni ormai da qualche anno, rischiano di chiudere perché, nonostante le promesse e le inaugurazioni in pompa magna, i soldi non ci sono.

Dall’altra parte della città, a Induno e ad Arcisate, la gente guarda con timore a quella cicatrice di cemento che segna come una sciabolata il tessuto urbano. Operai al lavoro, nonostante una overdose di assicurazioni, labili come il caldo di marzo, non se ne vedono ancora e la bretella Arcisate-Stabio rischia di diventare una barzelletta che farà ridere tutta Europa. Meno noi – che ne siamo i principali protagonisti – e gli svizzeri, che per una volta hanno creduto ai loro ondivaghi vicini tricolori e se ne sono già pentiti amaramente.

Due cantieri fermi che vogliono dire non solo il blocco di opere vendute come essenziali per il futuro di tutta l’Insubria, ma anche operai a spasso, nuovi posti di lavoro in bilico, meno soldi nelle tasche dei cittadini.

All’ippodromo delle Bettole, che era un vanto di questa città, una bomboniera dove, nelle serate d’estate, approdavano perfino pullman di boccheggianti scommettitori da San Siro, i tecnici dell’Enel hanno tagliato la luce elettrica.

È una storia di vecchie bollette non pagate, ma, più in generale, una guerra che si combatte sulla testa di quelli che dovrebbero essere le indiscusse star dell’impianto, ovvero i poveri cavalli. Che invece al buio e, a sentire gli stallieri, in condizioni precarie, assistono inermi a questo braccio di ferro suicida.

Il Palaghiaccio oggi è chiuso. Lo sarà anche domani, fanno sapere da Palazzo Estense. La motivazione ufficiale parla di “inventario”. E in effetti bisognerà inventarsi qualcosa per evitare che, con il lancio della spugna da parte della Pattinatori Ghiaccio Varese, l’impianto di via Albani letteralmente si sciolga sotto i riflettori della crisi.

Villa Mylius ha visto sfumare nei giorni scorsi il sogno di un munifico finanziamento da parte di Fondazione Cariplo e se non si correrà ai ripari rischia di incamminarsi sulla stessa rovinosa strada percorsa dal Castello di Belforte.

Si dirà: per forza, non ci sono soldi. A parte il fatto che per il faraonico posteggio alla Prima Cappella (2milioni e 900mila euro la spesa prevista, ossia circa 32.000 euro per ognuno dei 91 posti macchina) i fondi sembrano misteriosamente disponibili, la verità è che quando c’erano i danée ci si è trastullati con il progetto della maxi stazione e ci si è arrovellati su come trasformare una caserma in teatro.

Salvo essere qui, 70 anni dopo il bombardamento dell’Aermacchi, ancora a contemplare macerie. Con un aggravante: questa volta le bombe le abbiamo sganciate noi.

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