«Varese accorpata con Como? No, grazie. La provincia di Varese ha tutte le carte in regola per formare un’area vasta. Policentrica e, perché no?, allargata». È la posizione di Alessandro Alfieri, segretario regionale del Pd, sul futuro della provincia di Varese nell’ambito della discussione, avviata da Regione Lombardia, sul riassetto territoriale delle autonomie locali alla luce della riforma costituzionale che abolirebbe le province per introdurre le aree vaste. Quelle che Maroni ribattezzerebbe “cantoni”, ipotizzando un Canton Insubria con le province di Varese e Como unite.
Premesso che non ci convince il nome, al di là delle mere questioni nominalistiche, è l’ipotesi di accorpamento con Como che non ci convince. Per due motivi. Il primo è che Como ha più legami con Lecco: li unisce il lago, che è elemento identitario e legato allo sviluppo sostenibile di quel territorio. Ma è legata sia a Lecco che alla parte alta della provincia di Monza Brianza, dove si incrociano le Brianze e dove c’è un’omogeneità dal punto di vista del tessuto economico/produttivo. È evidente che Como ha più legami con queste due realtà e ne ha meno con Varese. Il secondo motivo è che tra Varese e Como non ci sono vie di comunicazione, un elemento decisivo per unire i territori.
Va a ricalcare le Ats, le Agenzie di tutela della salute. Ma secondo noi la costruzione delle istituzioni deve rispettare le identità territoriali, l’omogeneità del sistema economico e produttivo e la capacità di rappresentare un sistema territoriale. Infatti una delle richieste fatte a Maroni, punto fondamentale della nostra posizione, è che la riforma delle aree vaste debba andare di pari passo con la riforma del sistema camerale. Ad ogni area vasta corrisponda una Camera di Commercio. Altrimenti rischiamo di avere troppe geometrie variabili.
Un’area vasta che corrisponda agli attuali confini, con piccole modifiche, per un territorio da circa un milione di abitanti. Ma non è una risposta conservativa. Siamo convinti che ci siano le condizioni affinché l’area vasta di Varese possa essere riferimento per un bacino attorno al milione di abitanti e avere la dimensione per collaborare in maniera utile con la Città Metropolitana, livello a cui tendere per gestire le partite più importanti, come gli aeroporti, le ferrovie, le infrastrutture, la grande opportunità del post-Expo.
Quella che ci diversifica rispetto a realtà come Como, Lecco e Monza, è che la nostra provincia è a vocazione policentrica. Varese, Busto Arsizio, Gallarate e Saronno, ma anche Luino che è centro di riferimento per l’Alto Varesotto. E una dimensione sufficiente per poter essere area vasta ed esercitare le funzioni fondamentali. Spingendo sulle zone omogenee, ambito in cui i Comuni possono gestire funzioni e servizi, sul modello dei piani di zona.
Proviamo a ribaltare la questione, pensando all’unità del Basso Varesotto o Altomilanese, con il Legnanese nell’area vasta di Varese: la zona omogenea di Busto Arsizio diventerebbe punto di riferimento di un’area legata al manifatturiero. Stesso discorso per il Saronnese. Eviteremmo processi disgregativi e di attrazione della Città Metropolitana che si espande: senza un riconoscimento ai territori di Busto Arsizio e Saronno, rischiamo di perderli.
È una sfida, per ripensare il territorio e per attrarre. Senza giocare a Risiko, ragioniamo su una provincia che può allargare i confini per valorizzare una vocazione policentrica, dando autonomia alle zone omogenee che hanno tratti peculiari.
Ci sarà un ripensamento. Maroni ha fatto una mezza forzatura, e se ne sta rendendo conto. Ma cerco di trovarci il bene, avviando un dibattito su come ripensare i nostri territori e le loro vocazioni alla luce dei cambiamenti, per renderli competitivi agli scenari europei. Si anticipa il dibattito del post-referendum».