VARESE – È iniziata questa mattina la testimonianza di Lavinia Limido, vittima della violenza dell’ex marito Marco Manfrinati che in questo procedimento è accusato di stalking nei confronti della ex moglie, della ex suocera Marta Criscuolo e dell’ex suocero Fabio Limido. Atti persecutori che sono poi sfociati nell’omicidio avvenuto lo scorso 6 maggio a Varese, quando Manfrinati uccise l’ex suocero con 21 coltellate e ferì in modo gravissimo Lavinia.
La donna, assistita dall’avvocato di parte civile Fabio Ambrosetti, sta ricostruendo l’incubo vissuto dopo il trasferimento con Manfrinati da Varese a Busto Arsizio, raccontando che le controllava i soldi a ogni fine mese, che la aggrediva se non posteggiava l’auto in garage. Ed è proprio dopo l’ultimo atto di violenza che aveva deciso di fuggire insieme al figlio.
“Mi sono nascosta in provincia di Como, a casa di un’amica di famiglia, perché sapevo che lui mi avrebbe cercato dai miei genitori”, ha raccontato in aula. “Non uscivo di casa e i miei venivano a trovarmi usando auto diverse per non essere seguiti”. E ancora: “Manfrinati ci minacciava e ci insultava con email e telefonate, indirizzate anche alla nostra azienda. Fummo costretti a mettere telecamere ovunque e, addirittura, a fare il giro degli isolati prima di rincasare la sera, per controllare che lui non fosse in zona”.
Assente in aula Manfrinati, assistito dall’avvocato Fabrizio Busignani, prima dell’inizio dell’udienza l’avvocato Ambrosetti ha prodotto una serie di mail inviate a Lavinia e al padre con insulti e minacce anche dopo i fatti di via Menotti. Non solo: dal carcere di Busto Arsizio, dove è detenuto per l’omicidio e il tentato omicidio, Manfrinati ha inviato una cartolina alla ex suocera con il messaggio: “Sentitissime condoglianze per quel brav’uomo morto quattro mesi fa, che ora sarà con gli angioletti. Sinceramente, Marco”.