Promesso, poi parliamo della partita. Poi parliamo di pallacanestro e di quello che secondo noi è successo in campo. Poi. Prima, ci tocca fare una riflessione: cosa che facciamo raramente, abituati come siamo a lasciar stare l’operato degli arbitri. Però stavolta c’è qualcosa che non ci va giù, che non ci va bene. La colpa non è dei signori Bettini, Lanzarini e Ranaudo (specialmente gli ultimi due), protagonisti di una serata storta che più storta non si può
quando i protagonisti avrebbero dovuto essere altri. La colpa è di chi ha mandato loro tre a fischiare una partita così. Qualcuno deve aver deciso di designare loro per la gara più importante della giornata: pesci fuor d’acqua in una serata che non era la loro. Non hanno deciso la partita, no: Milano ha vinto perché Brooks è un fenomeno e Melli ha tirato fuori dal cilindro una prova mostruosa. Non hanno deciso la partita, no: ma l’hanno rovinata. E se questo è inaccettabile normalmente, figurarsi se sul piatto si gioca la partita che ha scritto la storia della nostra pallacanestro.
Bene, abbiamo tirato fuori un rospo che avevamo lì dopo aver visto i tre in grigio buttare fuori Pozzecco e compensare con fischi a casaccio: adesso parliamo di quel che ci piace. Parliamo di basket e, sì: peccato. Peccato per l’ennesimo “ci è mancato un soffio”, peccato per un altro “si è dato tutto ma alla fine hanno vinto gli altri”, peccato per i soliti applausi a una squadra che ci ha provato ma ha perso. Peccato per l’ennesima partita strana: bella per chi ama gli attacchi stile Playstation, brutta per chi preferisce i tecnicismi e le cose preparate. Peccato per una classifica che piange, e questa Varese davvero non se la merita. Si guarda avanti con un po’ di sana paura (perché il calendario mette paura e davvero a Kangur non si può rinunciare) e si guarda indietro mangiandosi mani e fegato per quel che si è lasciato per strada. Ma c’è poco da fare: questa è la squadra, questo è il suo allenatore, e dentro quello spogliatoio bisognerà trovare la forza e il modo di rimettersi in piedi.
Non ce la facciamo a puntare il dito contro questo gruppo, che fa di tutto per farsi voler bene: di quel bene che una mamma vuole al figlio che si impegna ma non sempre arriva dove vorrebbe. E nemmeno troviamo appigli – ammesso che ce ne siano – per fare le pulci a un allenatore che è l’unico possibile per questa squadra. Anche se, sì: quel tecnico preso (il primo) nel primo quarto e dopo un canestro fatto è una leggerezza che fa arrabbiare, al di là della mania di protagonismo degli arbitri. Perché abbiamo detto mille volte che lui e la squadra sono una cosa sola, l’abbiamo detto e lo ripetiamo: e lui non si può permettere di lasciarla sola, perché in quel finale ci sarebbe stato bisogno di lui. La stagione è ancora lunga, il credito con la sorte tutto da scontare: recuperare un po’ di serenità dentro e fuori dal campo è il compito a casa per la prossima settimana. Nessuno ha il fucile puntato contro, nessuno vuole il male di questa squadra e tantomeno di questa società. E le critiche, quando arrivano, arrivano per amore.