di Andrea Confalonieri
Ci pare una stagione al tramonto, e non da ieri, ma i giocatori e l’allenatore sono convinti del contrario: lo dimostrino vincendo contro la Pro Vercelli già retrocessa, invece di dilettarsi in battutine che non fanno ridere. Soprattutto dopo una sconfitta che, pur accolta trionfalmente, resta una sconfitta.
Di più: era una finale, e un Livorno ben più scolastico del Novara e del Sassuolo visti a Masnago, l’ha portata a casa con due tiri in porta e un calcio di rigore. E la chiamano sfortuna. Schiantarsi sui legni o sulle parate del portiere avversario, o segnarsi due reti da soli, a noi non fa ridere per nulla. I pali si beccano sbagliando la mira, e i gol s’incassano ciccandola: eppure sono contenti. Noi invece siamo molto arrabbiati.
Perché non ci accontentiamo degli applausi ammirevoli della curva dopo un 1-3 casalingo. E perché pensiamo che giocando così contro il Lanciano, o con la Juve Stabia, o a Vicenza, o in mille altre occasioni, il Varese avrebbe vinto facilmente. Perché Zecchin, Neto, Ebagua, Corti ma anche Odu e Filipe, in teoria pure Troest e Rea (non quelli di ieri), non hanno nulla da invidiare ai giocatori del Livorno. Ma hanno perso, scherzano pure, non accettano le provocazioni e in un certo senso si sentono intoccabili (non da oggi: indimenticabile la reazione di Carrozzieri contro un tifoso che giustamente lo rimproverava di quello che in città sanno tutti). Contenti loro.
Noi alla fine non ridevamo per nulla. Sono mancate la tensione (anche spirituale) e la frenesia che a Masnago una volta non facevano capire nulla agli avversari, inevitabilmente costretti a cadere. O sono affiorate soltanto a fiammate, e come sempre passati in svantaggio. Dov’era il sacro furore dei momenti che contano? Prendete l’ultimo quarto d’ora: Livorno piantato coi piedi in difesa aspettando l’assalto finale biancorosso, mai arrivato. Mancava quella spinta della testa che fa correre più veloce i piedi, il sangue, gli avversari. Forse, più di così, questa squadra non può dare. Forse bisogna dire grazie lo stesso, ma se lo fai poi questi s’offendono. Forse bisogna dimenticarsi che siamo ancora nei playoff, come ripetono tutti troppo ossessivamente ogni fine gara, quasi a darsi forza e a convincersi di una cosa a cui non credono.
Sta svanendo il retaggio del passato, quello che avrebbe schiacciato sulla linea di porta il Livorno fino al 95′. Quello che faceva venire giù lo stadio, e sapete perché? Perché quegli assedi erano condotti da omini come Gambadori, Camisa, Osuji e Tripoli. Non si credevano dei fenomeni, e non vivevano da fenomeni. Ma, soprattutto, non scambiavano la notte per il giorno. Gente che rinunciava a quasi tutto, prima e dopo l’allenamento, perché era l’unico modo per riuscire a dare tutto, fino in fondo, sul campo. Quest’anno, invece, più che allo stadio, i guerrieri biancorossi li abbiamo visti in azione altrove. Qualcuno li chiama i guerrieri della notte.
b.melazzini
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