Varese, primavera a Masnago Col Livorno come se fosse l’ultima

VARESE Viviamola così: è primavera dopo il lungo inverno e il Varese si congeda dal suo grande pubblico contro una grande squadra. Sui titoli di coda oggi nasce una nuova stagione, e lo farà con un memorabile gol di Giulio Ebagua: lo aspettiamo dalla rovesciata al Cesena del 27 febbraio seguita da fiumi di normalità. La semplicità è la virtù degli autentici grandi, ma un leone non può nascondersi nella foresta. L’odore del sangue e della caccia, alla fine, lo stanano.

Lo farà con una prestazione divina di Neto Pereira, di quelle che quest’anno ci siamo dimenticati: era il 10 novembre 2012 quando il brasiliano predicò l’ultima volta con il Padova (doppietta e 10 in pagella). Ma i credenti aspettano al di là delle apparenze perché sanno che è nelle lunghe assenze che si misura le fede di una presenza superiore come quella di Neto.

Lo farà tirando sberle sulla partita dal fischio d’inizio, a costo di rimanere bruciato dal suo stesso fuoco, cosa che non si è mai più verificata dal recupero degli ultimi 8 minuti con il Grosseto, tre mesi fa. Tirerà sberloni perché il Varese si è accorto di avere perso il suo bene più grande, e salendo sul palcoscenico per un’ultima imponente recita cullerà l’illusione di potersi riappropriare del tempo perduto. E il bene si chiama capacità di decidere il proprio destino. Esserne artefici, da Bolzano a Benevento e Cremona, da Padova a Genova, significava poter dire a se stessi: «Se va bene, non devo ringraziare nessun altro. Se va male, almeno ci ho provato». Quell’averci provato, quel non dover ringraziare nessuno: questo è in palio oggi, c’è qualcosa di meglio?

Il Varese non se ne andrà dai piani alti che sono stati la sua casa, dove si è arrampicato grazie a liane di scorza dura e stirpe vincente, senza avere prima battuto il Livorno. E il pubblico che di questa casa è padrone, dimostrerà che se a Padova esiste un presidente come Cestaro, classe 1938, capace di invadere il campo e fare ribollire il sangue alla squadra, qui i presidenti pronti a scavalcare siamo noi, siamo tutti.

Andrea Confalonieri

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