«In diretta da Inarzo abbiamo appena trasmesso il derby tra Bar Cabeste e Bar Le Pine, valido per la sesta giornata del campionato provinciale di briscola chiamata». No, quella mandata ieri in onda da Rete 55 (senza nessuna colpa della nostra tv locale, sia chiaro) non è stata una partita di basket: le immagini, la grafica, la mancanza dei suoni non sono particolari degni della trasmissione di un match professionistico. Di qualsiasi sport.
Peccato, però, che questo non sia stato l’aspetto più imbarazzante della serata. A superarlo e di parecchio ci ha pensato Varese, incresciosa nel fotocopiare la parte peggiore di se stessa per la terza volta consecutiva. Nell’obbrobrio sputato dal tubo catodico, si è riusciti a distinguere prima una squadra che ha sapientemente sfruttato la confusione mentale e la pochezza di idee dei padroni di casa, accumulando in scioltezza un vantaggio in cui come sempre si è compiaciuta.
Si è notato, come al solito, un uomo solo al comando e la sua borraccia con scritto Diawara, talmente avanti nella salita da convincere i compagni a rientrare a valle per una bibita rinfrescante. Si è percepito indistintamente l’inizio della pioggia, puntuale come un orologio allo scoccare del terzo quarto, con Roma capace di darsi appena una parvenza in attacco e in difesa: tanto è bastato per spaventare e cancellare Varese. Si è vista l’acqua arrivare prima alle ginocchia e poi alla vita, nell’inerzia di due playmaker che non ne fanno uno e un allenatore per la quarta domenica di fila non in grado di cambiare gli eventi. Si è fallita, as usual, ogni prova d’appello prima dell’alluvione, con i biancorossi davvero magistrali nell’affogare concedendo cinque rimbalzi in attacco durante l’azione decisiva.
Scrivere di aspetti tecnici, persino di assenze, dopo l’ennesima partita prima dominata poi buttata è come recensire lo stesso film alla centesima visione: inutile. Questa squadra è semplicemente entrata nel vortice della paura, non ha un uomo che sia uno in grado di guidarla psicologicamente nei momenti difficili. In due vittorie ci si è specchiati, in quattro sconfitte si incominci a ragionare: Houston, qui manca l’anima.