Varesini d’America. «Caro Trump, facci ricredere»

Claudio e Samuela, nati e cresciuti a Varese questa primavera sono diventati cittadini statunitensi. Un professionista in viaggio negli Usa invece ci ha raccontato la sua lunga diretta, vissuta in mezzo agli elettori

Varese, Texas, United States. Un pezzo di Città Giardino cresce rigoglioso a Flower Mound, una quarantina di chilometri a nord-est di Dallas. Dove in questo periodo dell’anno ci sono 20 gradi e sì, il sole continua a sorgere forte e alto nel cielo anche il giorno dopo l’elezione di Donal Trump a 45mo presidente degli Stati Uniti d’America. Il Texas varesino ha il sorriso di e , 39 anni lei e 46 lui, che questa primavera hanno giurato sulla Costituzione americana diventando cittadini statunitensi. E quindi elettori della “sfida più importante del secolo” come è stata definita dai media americani.

Samuela e Claudio  il giorno del giuramento da cittadini americani

Samuela e Claudio il giorno del giuramento da cittadini americani

Il loro cammino verso la polling station inizia nel 1999, quando si sposano a Varese per poi andare a vivere in Finlandia. Claudio lavora per Nokia e l’azienda gli offre il trasferimento in Scandinavia. Lì, due anni dopo, nasce il loro primo figlio Sami. Quello stesso anno la famiglia Frascoli si trasferisce in Cina, a Pechino, dove resta per quattro anni e si allarga ulteriormente con l’arrivo di Asia nel 2004. Poi due anni a Rio de Janeiro, un anno a Città del Messico e quindi, nel 2008, l’approdo negli Stati Uniti: ad Atlanta fino al 2014 e infine a Flower Mound. Claudio sempre assunto da Nokia, Samuela ora impiegata in un negozio di articoli per bimbi dopo una vita da moglie e mamma.

La green card nel 2010, cinque anni di residenza continuativa negli States e infine la domanda di cittadinanza: così i Frascoli sono diventati i nostri varesini d’America. E oggi ci raccontano questa elezione vista con i loro occhi, vissuta sulla loro pelle che è un po’ anche la nostra.

Per Hillary, naturalmente! Da immigrati quali siamo non potevamo certo appoggiare un candidato che basava la sua campagna sul costruire muri tra Stati…

Questa è la democrazia, c’era il 50 per cento di probabilità di vincere e di perdere. Ammetto però di essere scioccata e sconvolta, non pensavo ci fosse così tanta gente dalla parte di Trump… Ora è stato eletto, è il Presidente, e mi auguro con tutto il cuore che si renda conto che non si scherza più, che si fa sul serio. E che sia circondato da persone che agiscano per lui. Ecco, per dirla in maniera ottimistica spero tanto che mi stupisca, che mi porti a ricredermi di aver dubitato di lui.

Quest’elezione è stata una grande sorpresa per tutti, soprattutto per i media che pur aspettandosi una battaglia serrata all’ultimo voto confidavano nella praticamente certa vittoria della Clinton. E invece così non è stato. È evidente che Trump ha saputo catturare meglio la rabbia che serpeggiava nel popolo, ma da qui a pensare che sarà davvero il presidente di tutti… beh, è molto difficile. Staremo a vedere. Accetto il risultato, ma sono deluso, perché in campagna ha dimostrato di non essere certamente l’esempio che io vorrei dare ai miei figli.

A differenza dell’Italia qui non esiste il concetto di “politically correct”. Qui giornali, tv, persino le sit-com sono apertamente schierate ma nessuno si sogna di gridare allo scandalo. Anche perché per gli americani le istituzioni, il processo democratico e la Costituzione sono valori indiscutibili ed incrollabili, e di conseguenza la libertà di opinione è un diritto imprescindibile. A tutti viene data voce.

E poi a garantire l’assoluta imparzialità ci sono i tre dibattiti presidenziali, con moderatori eccezionali e super partes capaci di mettere i candidati sotto pressione. Non sono comizi come possono essere quelli all’italiana, ma veri e propri confronti serrati su temi insindacabili. Addirittura in uno dei tre appuntamenti, sul palco dietro i candidati c’è una platea di “indecisi” preposta proprio a fare domande chiave ai concorrenti alla Casa Bianca.

Il Texas è uno degli Stati in cui è stato istituito l’early voting, il voto anticipato, con i seggi aperti dal 24 ottobre al 4 novembre. Noi siamo andati subito la mattina del primo giorno.Ebbene sì, non vedevamo l’ora.

Devo essere sincera, la nostra famiglia è nata di fatto al di fuori dell’Italia. Abbiamo girato il mondo, vissuto in tanti posti e tutti diversi. Siamo negli Stati Uniti da otto anni, i nostri figli sono cresciuti qui, vanno a scuola qui. Noi non ci sentiamo più italiani all’estero, per noi adesso “casa” è qui. Torniamo a Varese tutte le estati ed è bellissimo ritrovare la famiglia, gli amici, il cibo…ma dopo venti giorni non piango a risalire sull’aereo. Ho voglia di ritornare a casa mia, alle mie abitudini. E sono qui, in Texas.

La nostra esperienza ci ha portato a smetterla di fare paragoni. abbiamo imparato a goderci il bello che c’è in ogni posto, senza lasciarci sopraffare dalla nostalgia. Non sarebbe giusto. Che dire? Speriamo di continuare a trovare del bello, anche da oggi in avanti. Speriamo di poterci ricredere e stupire. Ancora una volta. ancora di più.