Varesini nell’inferno di Boston «Ci siamo salvati per un soffio»

VARESE «Mia moglie poteva morire, mi stava aspettando al traguardo». Sono quattro i varesini che hanno partecipato alla Boston Marathon e sono vivi per miracolo. Hanno attraversato tutti il traguardo prima che le bombe scoppiassero.
Arnaldo Pagani ha salvato la vita di sua moglie scivolando via veloce e tagliando il traguardo un’ora prima delle esplosioni. «Se ci avessi messo di più – racconta ancora scosso dalla sua camera d’albergo a Boston – sarebbe stata insieme al pubblico e ai familiari degli atleti rimasti vittime dello scoppio».


I due ordigni sono esplosi a quattro ore dall’inizio della corsa. Pagani, che fa parte del team G.a.m. Whirlpool e lavora a Cassinetta, ha impiegato poco più di tre ore per completare il percorso. «Sono arrivato, ho abbracciato mia moglie e mi sono rifocillato. Ho fatto in tempo a cambiarmi e tornare in albergo prima di rendermi conto di quello che era accaduto». Lui ha salvato lei, ma il favore è stato presto ricambiato. «Ritirata la medaglia volevo tornare indietro per vedere l’arrivo degli altri italiani – aggiunge – A quel punto è stata mia moglie ad impedirmelo perché era stanca e mi ha convinto a rientrare».
Gli altri varesini invece, Massimiliano Milani, Joanne Rainolds e Stefano Visintin, corridori dell’Atletica San Marco di Busto e della Running Saronno, erano a poche centinaia di metri dal traguardo al momento dello scoppio delle bombe. «Stavo allontanandomi dall’arrivo quando ho sentito l’esplosione – spiega Milani – Ero distante e non ho capito quello che stava accedendo così come la mia compagna di team. Ho percepito l’agitazione della gente, ma solo quando hanno iniziato a girare gli elicotteri, suonare le sirene e a transennare la zona mi sono reso conto che era accaduto qualcosa di grave».
I soccorsi sono stati veloci e le procedure di sicurezza sono entrate in funzione immediatamente, ma con discrezione.
«Mi sono allontanato in direzione della metropolitana e nonostante si fosse capito che si trattava di un attentato, perché gli schermi proiettavano immagini e commenti, la gente non era particolarmente agitata». La metropolitana è stata chiusa e «come se fosse una cosa a cui sono abituati, mi hanno detto che non l’avrebbero riaperta a breve, così sono tornato a piedi all’albergo». Non è abitudine quella degli americani, ma preparazione.

Il servizio completo sul giornale in edicola mercoledì 17 aprile

s.bartolini

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