Quella di Maurizio Buscaglia è una bella storia. La sua e quella della squadra che guida dal lontano 2010, l’Aquila Basket Trento. Dalla vecchia Serie A Dilettanti nel 2010 fino ad una semifinale di Eurocup nella scorsa stagione, una parabola crescente, fatta di coraggio e di investimenti, di qualità. La Dolomiti Energia Trento è alla sua terza stagione in Serie A, un lasso di tempo sufficiente a togliersi di dosso l’etichetta di sorpresa, o rivelazione, o matricola. Per la terza stagione consecutiva, un posto nei playoff spetta ai trentini, autori di un girone di ritorno favoloso, culminato con la vittoria (peraltro netta: 76-98) al Forum di Assago contro l’Olimpia Milano.
Domani l’Aquila di Buscaglia planerà su Varese, in quel palazzetto in cui si regalò la sua prima grande vittoria della sua storia in massima serie. E proprio al coach nativo di Bari chiediamo di quel giorno, e della storia che ne è poi seguita.
Se non sbaglio era la quinta giornata di campionato, e noi giocammo le prime due con Reggio Emilia e poi al Forum di Assago contro l’Olimpia. Vincemmo con Cantù in casa e poi quella di Varese fu per noi una dimostrazione. O meglio, arrivammo a Varese con la voglia di dimostrare di essere presenti, con la curiosità di capire ancora meglio il mondo in cui eravamo capitati. Fu una vittoria importante, perché avere un’identità in trasferta può rappresentare qualcosa di importante per il team e per l’ambiente, ti dà grande mentalità. Fu un primo passo per la nostra autostima, un biglietto da visita per il nostro primo anno in Serie A1. Anche perché giocavamo in un tempio, lo era prima e lo è tutt’ora, su un parquet rispettato in tutta Italia e tutta Europa. Fu un grande giorno.
Penso sia un discorso riconducibile alla tipologia stessa delle squadre, costruite per fare meglio, per combattere, per costruire, con una storia differente da cui bisogna prendere insegnamento. Trento e Varese mi sembrano due squadre paradossalmente simili, concepite allo stesso modo, per far bene e per essere ben messe in campo. Poi che il nostro score sia positivo, fa piacere.
Nella storia di una squadra credo che vada compreso tutto quanto. Nella quadratura trovata magistralmente da Attilio ci sono sei partite vinte in fila, che non sono poca roba. E lo dico anche per ciò che riguarda la mia squadra. Però credo che ogni cosa sia frutto anche del lavoro precedente, degli addetti ai lavori, c’è tutta una storia dietro che non va dimenticata. Varese, come noi, nel girone di ritorno ha trovato una ottima quadratura, con un cambio di coach che ha inserito la sua parte, ha messo la sua mano su questa squadra, inequivocabilmente. Al di là dei piccoli cambiamenti di ciascuna, si giocherà una partita tra due squadre che hanno fatto bene e che vogliono continuare a far bene.
Abbiamo reagito bene, e si è visto nella partita contro Sassari. Siamo rimasti in partita fino alla fine, certo potevamo fare di più però la squadra ha risposto bene. La partita si è determinata su due o tre episodi. Certo gli infortuni ci colpiscono in un modo importante, abbiamo perso determinate caratteristiche che ci servivano in due reparti differenti e davano la possibilità agli altri di esprimersi meglio. È come quando perdi in un colpo solo il cuoco dei primi e quello dei secondi, sei costretto a rifare il menù. Ne abbiamo però parlato poco, anche perché la nostra idea è quella di guardare avanti e non indietro e questo modo di pensare non lo cambiamo. Conta chi gioca, chi va in campo, gli assenti ci mancheranno ma ora la parola va a chi c’è.
Vincere a Reggio, Venezia e a Milano ci ha permesso di alzare il nostro livello mentale, abbiamo capito che ci siamo e possiamo dare fastidio a tutti quanti. Abbiamo perso qualche partita prima del ritorno però sempre lottando, senza mai andare in crisi. Nella testa dei ragazzi è entrata l’idea che avremmo raccolto i frutti del nostro lavoro, e così è stato. E per questo, nonostante gli infortuni, andiamo avanti compatti cercando in queste ultime partite di posizionarci al meglio nel gruppo delle squadre che andranno ai playoff.