Vinciamo il derby e riprendiamoci il nostro destino

Alle 20 (diretta su Raisport) la sfida con Cantù. Contro i nemici di sempre c’è solo una tattica: difendere alla morte togliendo aria ai loro solisti

Sta iniziando un nuovo cammino, ma prima guardiamoci indietro. Quante ne abbiamo passate dal derby di ottobre?
Battere Cantù di solito non abbisogna di particolari aggiunte emozionali: il godimento è già insito nel risultato espresso dal campo, “tout court” come dicono i francesi, secco, preciso, senza fronzoli. Quel giorno, invece, abbiamo fatto un’indigestione di emozioni e soddisfazioni: abbiamo preso lo scalpo dei cugini maledetti nel momento in cui riabbracciavamo ufficialmente il singolo personaggio-allenatore più atteso della storia della Pallacanestro Varese, un figlio acquisito della città, una stella indimenticabile tornata per ricostruire emozioni.

Troppo bello, troppo grande, troppo perfetto. Gli dei del basket ci hanno punito.
Sì, proviamo a guardarci indietro: da quella follia collettiva ce ne sono arrivate addosso di ogni.
Non solo infortuni ripetuti che ancora fanno sentire la loro sventurata scia, ma anche partite perse per colpa di briciole di ingenuità e punti in classifica gettati al vento a punire ogni accenno di superbia. Abbiamo scoperto di essere, per un altro anno,

incompleti e migliorabili, abbiamo capito che le belle storie non muovono le graduatorie, che i playmaker senza tiro pagano tutte le colpe e che i centri bonsai sono utili solo se ci mettono tempra e voglia.
In parte sapevamo già quasi tutto, ma quel folgorante incipit – per un attimo – ha cancellato ogni dubbio: e se fossimo davvero buoni? No, non lo siamo. O meglio: non lo siamo stati, perché tutte le speranze sono ancora a portata di mano. Intatte, fragranti.

Al Pianella di Cucciago (ore 20, diretta su Raisport) va in scena il derby numero 135 di una storia che è impossibile racchiudere in poche righe.
Come fossero aerei che scorrazzano nel cielo degli anni, nella mente passano falli antisportivi, maglie portate in mezzo al campo a ricordare immani tragedie e persone indimenticabili, transitano tiri decisivi che violano canestri che non saranno mai come quelli di altri palasport, volano gioie uniche e tristezze che lo sono altrettanto, di quelle che ti durano per 365 giorni netti per poi rinverdirsi o annerirsi esponenzialmente.
Dalla nostra abbiamo il nemico pubblico numero uno, anzi “il peggior miglior nemico”. Pozzecco non l’ha dimenticato quello striscione, non può farlo: quell’ultimo atto da giocatore in terra canturina rimane una delle emozioni più intense della sua vita. Oggi è un ritorno e non ci saranno saluti che tengano: Cantù ha bisogno di vincere, quasi più di noi. Ci si prepari alla battaglia.

Fuori Robinson, dentro Maynor. Piano coi giudizi: esordire in un derby, in questo derby, è come guidare una Ferrari da neo-patentato.
Sarebbe bello, però, poter godere subito dei benefici dell’avere un vero direttore d’orchestra al comando: palloni con i contagiri per le uscite dai blocchi di Rautins, assist a smuovere l’atletismo di Eyenga, giochi a due degni di questo nome ad innescare la mobilità di Daniel.
Già: Rautins, Eyenga e Daniel. Dal loro apporto passano fortune e sfortune: mancano Diawara e 17 punti di media, non sono noccioline.
Grande fiducia è riposta anche in Callahan, con una postilla: Sacripanti aspetta la sua doppia dimensione, non ci si concentri solo su quella. Si difenda piuttosto alla morte, replicando l’asfissia che ha tolto l’aria ai solisti canturini durante il match di andata.
E poi si corra, come se non ci fosse un domani: siamo corti e leggeri rispetto agli avversari, conviene farlo.
Davanti avremo una squadra capace di inventarsi la partita dell’anno, come di cadere irrimediabilmente: non specchiamoci in questa pazzia. Si ricomincia.