Sono passati due mesi, la boa è stata circumnavigata, i fantasmi sono (quasi) alle spalle e la testa è già alla prossima stagione. Daniele Cavaliero è a casa sua, a Trieste, a lavorare sodo per farsi trovare pronto per l’annata che verrà. Il capitano, proprio come Luca Campani, al termine del campionato ha deciso di operarsi alla spalla per sistemare il problema che lo aveva colpito durante il derby con Cantù del 3 gennaio scorso.
Sono a Trieste, mi sto allenando per rimettere in sesto la spalla. A gennaio, dopo esserci rivolti al dottor Porcellini di Forlì, si decise di non operare ma di lavorare il più possibile per mantenere tonici i muscoli. Dopo neanche due mesi ero in campo, per questo non smetterò mai di ringraziare lo staff medico, Marco Armenise, Mauro Bianchi e tutti gli altri che mi hanno sopportato. Ci siamo ridati appuntamento con il dottore al termine della stagione, e dopo un paio di risonanze abbiamo concordato l’intervento. Ora lavoro per recuperare.
I sentimenti sono sempre quelli, si è affievolita la rabbia delle ultime sconfitte e ha lasciato posto alla consapevolezza che da febbraio in poi abbiamo fatto una bella corsa, noi di squadra a braccetto con il pubblico e la città, che si è rivista in una squadra lavoratrice e che non vuole mai mollare. Abbiamo fatto una grandissima fatica fino a febbraio, per colpe maggiormente nostre ma non solo. Rimane l’orgoglio di aver girato una stagione che ad un certo punto era diventata davvero difficile, però sapevo che tra le mille problematiche noi avevamo sempre lavorato bene e forte, ogni giorno, e sempre per un obiettivo comune.
Ricordo bene quel momento, mia madre era venuta a Chalon, poi eravamo stati ancora un giorno insieme a Varese: il martedì mattina lei prendeva il treno, l’ho accompagnata in stazione. Tornando indietro sono passato davanti a piazza Monte Grappa, era vuota, me la sono immaginata piena di tifosi, ero felice del supporto ma distrutto per aver perso, però avevamo reso orgoglioso un popolo. Scoprire che ciò ha contribuito alla nascita di un’iniziativa del genere è la conferma che Varese è città perfetta per il basket.
Noi che restiamo, quindi io, Giancarlo, Luca ed il “Canguro”, assieme con lo staff, abbiamo il compito di far capire ai nuovi giocatori che non siamo costretti a vincere tutte le partite, ma abbiamo la responsabilità di rendere la gente orgogliosa. Sto ripetendo troppo spesso la parola “orgoglio”, ma per me è un concetto importante. Dobbiamo essere una squadra che lotta ogni partita e su ogni pallone.
Faccio fatica a essere obiettivo, perché Claudio è un caro amico, è stato il mio capitano a Milano, la prima persona che mi ha preso sotto la sua ala e aiutato a crescere. Arrivavo da 19enne dalla piccola Trieste a Milano, una grande città ed una squadra ambiziosa. Il rapporto è sempre andato avanti, nonostante abbiamo intrapreso strade diverse. Ho grande stima e rispetto dell’uomo e non mi sorprendo di ciò che ho sentito negli anni,
ossia che è professionista serio e con talento. Penso sia un asset fondamentale per la Pallacanestro Varese che sta nascendo. Permettetemi però un passo indietro: voglio ringraziare Stefano Coppa per il lavoro che ha svolto con il cuore e per le volte che si è messo tra la squadra e il resto come parafulmine. Mi sono trovato molto bene con l’uomo e la persona, lo ringrazio per quello che ha fatto per me e, in generale, per noi.
Tante cose. Ne parlavo con il mio agente qualche giorno fa: mi è venuta in mente una gara di playoff con il palazzo pieno, maglie bianche e rosse ed emozione che scende sul parquet. Noi davanti alla nostra gente cercando di battagliare per una semifinale, o una finale, per provare a giocarci qualcosa. Il sogno adesso è quello, ma nella mia piccola carriera quello che ho imparato è che ci vuole tanto lavoro, tanto tempo e tanta unità di intenti, giorno dopo giorno. Servirà un gruppo solido, compatto, battagliero, cominciamo da questo.