Per Stefano Del Sante aprire l’album dei ricordi in biancorosso è un po’ fare i conti con se stesso. All’ex bomber del Varese – 15 trascinanti gol l’anno della promozione in C1 – si ferma qualcosa in gola, un nodo o chissà cos’altro; poi tira dritto e le emozioni prevalgono. «Varese – attacca Del Sante – significa tre anni e mezzo irripetibili. Due promozioni, di cui una da protagonista, tante partite indimenticabili. Ma poi tiro una linea e mi dico: se avessi giocato di più e meglio l’anno della C1,
forse sarei ancora al Varese. Di sicuro sarei rimasto nel gruppo che poi ha fatto la B. Sogliano, lo so, ha rimuginato sul tenermi fino all’ultimo. Avrei dovuto fare qualcosa in più. Peccato. Ma il rimorso non cancella tutto quel che di bello ho vissuto». Dopo Varese, un girovagare che ha trovato nella Vigor Lamezia (Seconda Divisione) l’ultima e attuale tappa. Peraltro, con soddisfazione, visti i sette gol segnati.
Nell’archivio personale, Del Sante rispolvera due gol. «Il primo – spiega – è quello che è valse la promozione in C1, in casa col Montichiari all’ultima. Cross di Lepore da sinistra, stacco di testa e gol. Poi scelgo l’1-0 nel derby col Como in Prima Divisione: fu un gol voluto, caparbio, perché volevo scrollarmi di dosso tutto il malessere di quell’anno. In estate ero sul piede di partenza, poi non se ne fece nulla e io impiegai molto di quella stagione a riprendere l’atteggiamento giusto. In fin dei conti, voglio dire, ero in campo quando Buba Buzzegoli infilò due volte la porta della Cremonese in finale playoff. Un’emozione del genere non l’ho più provata».
Padre, figlio e…
Al capitolo persone da ricordare, Del Sante cita la famiglia Sogliano in toto. «Perché mi hanno sempre stimato – dice -, hanno sempre creduto che potessi diventare uno forte davvero. Non solo Luca, pure papà Ricky: mi dava un sacco di consigli, non lo faceva con tutti. E non posso che ricordare anche mister Sannino, che è l’allenatore da cui ho imparato di più in assoluto. Potessi tenere con me un oggetto che riassuma il mio Varese, sceglierei “Fun Cool”, la maglietta del mister. In quelle due parole c’era tutto ciò che eravamo».
Da biancorosso, Del Sante ha vissuto quattro finali di stagione al cardiopalma, vuoi per salvarsi, vuoi per salire. Un po’ quel che attende il Varese di Sottili. «Non conosco la B – spiega l’ex punta varesina -, ma seguendo la squadra credo di vedere una perdita di identità. Mi spiego: anche nelle annate buie, abbiamo sempre creduto in noi stessi, in quel che eravamo. Nel bene e nel male, ci sentivamo una famiglia e lo eravamo davvero; capivamo che la piazza voleva e meritava di più. Era una sensazione che ti spingeva a dare il centoventi per cento».
Un po’ come quando il precipizio era lì vicino e di fronte c’erano Valenzana o Pizzighettone. «A Valenza – ricorda Del Sante – segnai una doppietta, prima del rigore-liberazione di Grossi già nel recupero. A Pizzighettone segnò Sergi, un gigante buono, una delle persone più autentiche che abbia mai incontrato. Lo sento ancora, l’ho fatto quest’estate prima di andare a Lamezia, per qualche consiglio». E il Sannino-style in vista delle gare dentro-fuori? «In queste cose è un maestro – spiega Del Sante -. Faceva scenate incredibili, inventava litigi, creava tensione e noi entravamo a mille. Una volta gli feci gesto col braccio di andare a quel paese, lui mi urlò: Ti spezzo quel braccio, lo prendo e ti ci meno! Non vorrei sbagliarmi, ma può pure essere che poco dopo abbia segnato».
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